

Il 24 settembre scorso ricorreva il ventiquattresimo anniversario della pubblicazione di Nevermind, secondo album dei Nirvana. Anche se con qualche giorno di ritardo, non posso non scrivere un articolo su quello che viene considerato, dal punto di vista commerciale, un fenomeno più unico che raro. Nevermind ha venduto, infatti, più di 30 milioni di copie in tutto il mondo e nel gennaio del 1992, superando anche Dangerous di Michael Jackson, si posizionava al primo posto della Billboard 200, la classifica dei duecento album nuovi più venduti negli Stati Uniti. Il fatto che rende il successo di Nevermind ancora più eclatante, però, è che la musica degli autori dell’album, tre ragazzi di provincia poco più che ventenni, è caratterizzata da canoni artistici molto distanti dalle tendenze musicali dell’epoca. La pubblicazione di Nevermind ha contribuito ad accendere i riflettori sul movimento grunge e a portare il rock alternativo al grande pubblico ed è questa la ragione per la quale è considerato uno degli album rock più importanti di tutti i tempi, ma fu davvero un successo inspiegabile? In questo articolo cercherò di dare una risposta a questa domanda.
Gli antefatti
Nevermind è il prodotto dell’incontro tra i Nirvana e il produttore (e più tardi anche uno dei fondatori dei Garbage) Butch Vig.
Nel 1990, Cobain e gli altri membri della band iniziarono la lavorazione del loro secondo album con Vig, ingaggiato dietro suggerimento della loro casa discografica, la Sub Pop Records. Le prime registrazioni vennero realizzate agli Smart Studios di Madison, Winsconsin, di cui Vig era co-proprietario insieme a Steve Marker (anch’egli più tardi membro dei Garbage). Dopo il completamento delle prime otto tracce, la band dovette interrompere la lavorazione, per problemi di Cobain alle corde vocali. Nel frattempo, Chad Channing (batterista) lasciò la band e venne rimpiazzato per breve tempo prima da Dale Crover, poi da Dan Peters e infine da David Grohl, che rimase nella band fino al suo scioglimento. Diversi dissapori con la Sub Pop, inoltre, spinsero il terzetto alla ricerca di una major. Le tracce registrate agli Smart Studios, allora, furono utilizzate dalla band come demo e suscitarono presto l’interesse della Geffen (DGC Records), con la quale firmarono un contratto il 30 aprile del 1990. Passare da un’etichetta indipendente ad una major rappresenta un cambiamento enorme: le produzione del loro album di debutto, Bleach, era costata appena 606,17 dollari; per Nevermind, invece, la band ebbe a disposizione 65.000 dollari, ma sebbene potessero accedere ad una catalogo dei più grandi produttori dell’epoca, decisero di lavorare con l’allora quasi sconosciuto Butch Vig. Invece di tornare agli Smart Studios, però, scelsero i Sound City Studios di Van Nuys, California.
I Sound City Studios
Ora, i Sound City, un’ex fabbrica di amplificatori Vox, non erano proprio gli studi più alla moda dell’epoca: moquette marrone sulle pareti, poltrone scolorite, cicche di sigarette dovunque e infiltrazioni d’acqua quando pioveva, ma la lista dei dischi di platino prodotti in questi studi fino a quel momento era considerevole: Tom Petty And The Heartbreakers, Fleetwood Mac, Rick Springfield, Neil Young, Elton John, Santana, Dio, ecc.

Kurt Cobain e Krist Novoselic ai Sound City Studios. E’ possibile intravvedere la moquette (marrone) sulle pareti.
Due erano i punti di forza dei Sound City: il suono di una delle due console e l’acustica della sala di ripresa.
Lo studio vantava due console Neve, ma quella installata nella regia dello studio A era speciale: una Neve 8028 da 28 canali di input, 16 bus, 24 canali monitor e gli equalizzatori 1085. Costata nel 1973 poco più di 75.000 dollari, ne esistevano solo quattro al mondo.
L’acustica della live room è considerata una delle migliori al mondo (forse la migliore) per la ripresa delle batterie. Basti pensare che il produttore Greg Fidelman, prima dell’inizio delle registrazioni di Death Magnetic dei Metallica, presentò alla band una serie di campioni di grancassa registrati negli studi più grandi di Los Angeles e dopo aver valutato quale dei campioni avesse il suono migliore, decise di produrre l’album nei Sound City.
Erano gli inizi degli anni ’90 e, sebbene il digitale stesse timidamente entrando nel mondo della registrazione audio, nei Sound City venivano ancora adoperati i registratori a nastro magnetico. Questo non permetteva interventi di editing avanzato, ma, al tempo stesso, preservava il groove dell’esecuzione originale forzando i musicisti a dare il massimo. Gli studi, purtroppo, chiusero i battenti nel 2011 e la console fu acquistata da Dave Grohl nello stesso anno. Oggi nello stesso stabilimento sono nati i Fairfax Studios del produttore Kevin Augunas, più noto al pubblico per il suo lavoro di missaggio minimale per il singolo “Hey Ho” dei Lumineers.
Le registrazioni
Determinati a realizzare il miglior prodotto possibile, i Nirvana provarono tutti i giorni per sei mesi per arrivare pronti alle registrazioni di Nevermind.
Le registrazioni iniziarono nel maggio del 1991 e durarono poco più di un mese. Ogni sessione aveva una durata di 8/10 ore al giorno.
L’approccio di Butch Vig alla registrazione di Nevermind fu quella del live in studio, ovvero di riprendere tutti i membri della band contemporaneamente per preservare l’interplay tra i musicisti e di correggere eventuali errori tramite punch-in: la batteria venne montata nella live room e gli amplificatori vennero isolati. Mentre Grohl e Novoselic completarono le loro tracce abbastanza velocemente, Cobain rimase in studio più a lungo. Vig, infatti, gli fece registrare molte sovraincisioni di voci sui chorus. Spesso Cobain, che non aveva molta pazienza, veniva letteralmente ingannato da Vig, che per ottenere i double gli faceva credere di dover registrare delle nuove take della traccia vocale principale.
Anche Grohl avrebbe dovuto doppiare alcune delle sue tracce vocali, ma si optò per l’ADT (Artificial Double Tracking).
Cobain doppiò anche molte parti di chitarra ritmica e sovraincise le numerose tracce pulite e distorte che accompagnavano gli assoli.
La strumentazione
La batteria
Tama Granstar
- 14″ × 15″ Rack Tom
- 16″ × 18″ Floor Tom
- 16″ × 24″ Bass Drum
Il rullante era un prototipo della Tama chiamato “The Terminator”, un 6.5’’ x 14’’ Bell Brass di proprietà della Drum Doctors, la famosa rental company di Ross Garfield che si occupa di fornire batterie e supporto tecnico per le sessioni di registrazione in studio.
I piatti:
- Hi-hat: Zildjian 15’’ Avedis New Beat o 15’’ Rock
- Crash: 18’’ e 20’’ Avedis Rock
- Ride: 24’’ Avedis Medium
La batteria venne ripresa con tecniche abbastanza convenzionali e microfoni classici:
- Cassa: AKG D12 (all’interno) e Neumann U47 FET (all’esterno)
- Rullante: Shure SM57 e AKG c451
- Tom: Sennheiser MD421
- Hi-Hat: Neumann KM84
- Overheads: 2x Neumann KM84 e 2x AKG c414
- Room: 2x Neumann U87
L’unica particolarità degna di nota è il “drum tunnel” usato sulla cassa. In pratica si costruisce un tunnel con vecchi fusti posti davanti alla cassa, in modo da poter allontanare il microfono esterno per ottenere una maggiore estensione delle frequenze basse. Il tunnel consente, così, di ridurre il rientro del suono dei piatti nel microfono della cassa.

La Tama Granstar di David Grohl, montata nella live room dei Sound City Studios. E’ possibile scorgere il drum tunnel posizionato davanti alla cassa.
The best way to get the drum sound on Nevermind is… get Dave Grohl to play drums at Sound City!!! – Butch Vig
Il basso
Non si hanno informazioni precise sui bassi utilizzati per la registrazione di Nevermind. Gli strumenti probabili sono un Gibson Ripper, un Ibanez Roadster o un Ibanez Black Eagle 2609B.
Corde:
- Rotosound Strings
Effetti:
- ProCo Rat (nei brani “Breed” e la ghost track “Endless, Namless”)
- Tech21 Sansamp (sul segnale della D.I.)
Amplificatore:
- Ampeg SVT 400T
Cabinet probabili:
- Mesa/Boogie Road Ready 4×10 (forse un 2×15) oppure un Marshall 4×12
Il suono del basso fu ottenuto da una combinazione del segnale microfonato e quello in uscita dalla D.I. box. Il microfono utilizzato fu il Neumann U47 FET. Il segnale della D.I. venne fatto passare per un pedale Sansamp della Tech 21, customizzato per Butch Vig.
Le chitarre
Le chitarre utilizzate da Cobain furono le seguenti:
- Una Fender Mustang della fine degli anni ’60
- Una Fender Jaguar con pickup DiMarzio
- Diverse Fender Stratocaster con gli humbucker al ponte
Effetti:
- Boss DS-1 (l’effetto di distorsione principale)
- Electro Harmonix Small Clone (il chorus udibile sul pre-chorus di “Smells Like Teen Spirit” e sull’intro di “Come As You Are”).
- ProCo Rat
- Electro Harmonix Big Muff (per ottenere un suono più scuro su “Lithium”)
Amplificatori:
- Mesa Boogie Studio .22 (l’amplificatore principale)
- Fender Bassman (solo per quattro tracce)
- Vox AC30 (per i suoni puliti)
Per la ripresa delle chitarre furono utilizzati quattro microfoni: uno Shure SM57, un AKG c414, un Neumann U87 e talvolta un Sennheiser MD421. I microfoni venivano scelti di volta in volta da Cobain, in base alla traccia da registrare. Per la canzone “Lithium”, per esempio, venne utilizzato l’U87, perché si desiderava un suono più caldo e pesante.
Per la canzone “Breed” il segnale in uscita al ProCo Rat fu splittato: il segnale principale venne indirizzato all’amplificatore e una copia venne indirizzata direttamente alla console. I due segnali furono poi miscelati per ottenere un suono più grezzo e “zanzaroso” rispetto a quello degli altri brani.
“Polly” è l’unico brano per il quale furono usate le registrazioni effettuate agli Smart Studios di Vig. La chitarra di Cobain aveva solo cinque corde usurate, accordate un tono e mezzo sotto.
La stessa chitarra fu utilizzata per il brano “Something In The Way”, ma la registrazione di questo brano fu effettuata nella control room dei Sound City Studios.
La voce
Per la ripresa della voce fu utilizzato un microfono Neumann U67 e un compressore Urei LA2A. La maggior parte delle voci fu registrata nello Studio B dei Sound City.
Il missaggio
Terminate le registrazioni, i Nirvana scelsero Andy Wallace per il missaggio dell’album. La scelta ricadde su Wallace poiché aveva da poco co-prodotto e mixato “Reign In Blood” degli Slayer, dal cui suono Cobain rimase affascinato.
L’album fu mixato agli Scream Studios di Los Angeles su una console SSL G Series. Si conosce poco del lavoro di missaggio di Wallace su Nevermind. A parte qualche slap echo sulle tracce vocali di un paio di canzoni e un po’ di riverbero, il suono dell’album è in gran parte secco e “in faccia”. L’unico particolare di cui si è venuti a conoscenza fino ad ora è l’utilizzo dei campioni su cassa e rullante. I campioni di Wallace, però non sostituivano il suono originale, ma aggiungevano solo ambienza.
I’m pretty sure Andy had a bit of them mixed in the background on kick and snare. He would load them into an AMS, and trigger them from the sync head with a delay. He didn’t replace the drums, just used the samples for ambience. – Butch Vig
While mixing I did not try to polish it at all. I was trying to keep the sound in your face and raw, while at the same time providing the dynamics and architecture that I like to hear. And I’m still very happy with the result. – Andy Wallace
Nonostante le intenzioni di Wallace, il suono dell’album si rivelò troppo raffinato per i gusti di Cobain, che non celò mai la sua insoddisfazione.
Looking back on the production of Nevermind, I’m embarrassed by it now. It’s closer to a Motley Crue record than it is a punk rock record. – Kurt Cobain
Fu questa la ragione per la quale la produzione del terzo album, “In Utero”, venne affidata a Steve Albini, un musicista punk prima che un produttore, un oppositore dell’industria discografica senza peli sulla lingua, il cattivo ragazzo che, prima di pentirsi e accettare la collaborazione con la band di Cobain, aveva criticato persino i Nirvana, definendoli “R.E.M. con il Fuzzbox”.
Nevermind, infatti, suscitò molte critiche da parte di musicisti e operatori del settore della discografia che lo consideravano non rappresentativo dello stile del movimento grunge. Lo stesso Butch Vig lo definisce ancora oggi un album pop.
Il successo di Nevermind deriva, però, proprio da quegli elementi di semplicità che lo rendono un prodotto commercialmente attraente.
I punti di forza di Nevermind
– La struttura delle canzoni è spesso estremamente lineare, come nel caso di “Breed” e “In Bloom”, che si sviluppano su un alternanza di strofe e chorus. La stessa impostazione è mantenuta in “Lithium”, ma con l’aggiunta di due bridge che ne spezzano il ritmo, scongiurandone la monotonia. “Smells Like Teen Spirits”, invece, aggiunge un pre-chorus dopo ogni strofa che permette al brano di crescere fino ad esplodere nei chorus.
– L’alternanza tra momenti di estrema calma sulle strofe e caos assordante sui chorus, per stessa ammissione di Cobain ispirata dallo stile della band Pixies, è uno degli elementi vincenti della produzione dell’album: crea interesse ed eccitazione.
– Un altro elemento di forza sta nelle melodie, estremamente orecchiabili e costruite su pattern ritmici ripetuti, tanto da sembrare cantilene o canzoncine per bambini.
– Le esecuzioni dei musicisti sono semplici e funzionali:
I didn’t throw a bunch of fills in there. I kept it as simple as possible and that was sort of an unspoken rule – Dave Grohl
As far as I’m concerned, for the role that I did, it was about serving the song – Krist Novoselic
– Infine, le tematiche delle canzoni sembrano sondare tutte le emozioni dell’adolescenza: l’inadeguatezza, la fragilità, l’angoscia, la ribellione. Sono testi nei quali i fan si riconoscono, canzoni che sono in grado di toccare le corde del subconscio. Tutto questo, combinato con i succitati suoni radio-ready dell’album, la grande personalità e presenza scenica dei membri della band (spesso Cobain e compagni terminavano i concerti distruggendo i propri strumenti musicali), fanno di Nevermind un prodotto vincente.
Kurt had this brilliant pop sensibility in terms of melodic structure and phrasing, and yet he loved the attitude of punk, and those are the two things that collided and made Nirvana so special. – Butch Vig
Conclusione
Forse è vero, Nevermind non è un album che rappresenta il movimento grunge di Seattle e neanche un prodotto particolarmente originale (molte soluzioni sono state adottate ispirandosi ai Pixies e ai Sonic Youth). Tuttavia, di certo l’album ha contribuito a far conoscere il cosiddetto “rock alternativo” al grande pubblico, abbattendo il muro che c’era tra underground e mainstream. Per operare una tale rivoluzione, però, era necessario combinare i due mondi in un unico, grande album e quell’album fu Nevermind.
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